16 gennaio 2020

Anthropocene

Già dalle prime gigantografie della mostra multimediale, le immagini dei disastri ambientali ti arrivano dirette allo stomaco, come un pugno. Di sicuro era proprio questo l'intento degli autori di Anthropocene, l'evento che si è concluso pochi giorni fa al MAST di Bologna. 

Le gigantografie sono nitidissime, a volte si tratta di centinaia di scatti uniti in una singola foto da un hardware specifico, ti sovrastano, quasi ti cadono addosso, o meglio, ti fanno entrare dentro all'immagine, fisicamente. La scelta, poi, di indicare in ognuna delle didascalie soltanto la città e la nazione, escludendo quindi ogni riferimento alla singola impresa o multinazionale a cui affibbiare la colpa e la responsabilità di ciò che vedi, ti spiazza e man mano che ti  addentri nel percorso espositivo ti rendi conto che i materiali estratti servono per far funzionare il telefonino che hai in tasca, i fertilizzanti per pagare di meno il cibo che acquisti, la plastica per contenere l'acqua messa nello zaino... 

La responsabilità, quindi, coinvolge anche te e se non ne prendi coscienza non ci saranno vie d'uscita. Il senso di colpa ti assale insieme al timore di non poter più fermare quella macchina infernale e di ripristinare ciò che è stato modificato o distrutto. Ansia. Allora cerchi di condividere questa consapevolezza e le sensazioni del momento con uno sguardo, una parola o semplicemente stando vicino a chi conosci.

Ed è quello che ho cercato di raccontare con queste foto nell'ultima ora dell'ultimo giorno di apertura dell'evento.

Lagos, Nigeria -  Foto di Edward Burtynsky

Lagos, Nigeria - Mushin Market

Carrara, cava di marmo. Foto di Edward Burtynsky

Canada, Vancouver, abbattimento alberi con dinamite - Installazione di Jennifer Baichewal e Nicholas de Pencier

Cina, barriere frangiflutti  -   Foto di Edward Burtynsky




Bologna,  MAST  - Anthropocene