20 dicembre 2018

La natività murata nella Cattedrale di San Venanzio di Fabriano

Fabriano, Cattedrale di San Venanzio  - natività 

Questa  natività fu affrescata nella cappella absidiale della Cattedrale di San Venanzio di Fabriano tra il '300 e il '400 da un artista rimasto sconosciuto, ma tutta la parete, nello stesso periodo, è stata colorata da un ciclo di affreschi di Alegretto Nuzi e del  Maestro di San Verecondo. Una meraviglia!

Passano un paio di secoli e nel '600 la chiesa fu quasi completamente ricostruita. E cosa fecero i grandi ingegneri, architetti, artisti e sapientoni , manieristi ovviamente, dell'epoca? Tirano su l'abside della nuova chiesa a meno di due metri dalle cappelle laterali, murandole di fatto impedendone perciò sia l'accesso che la vista.

Non ci misero molto tempo, i Fabrianesi, a dimenticare gli affreschi murati della  loro cattedrale e  per tre secoli scese il buio assoluto su quelle pitture. Il buio vero quello fisico. Soltanto nel 1905 un architetto della soprintendenza (diremmo oggi), Icilio Bocci, mettendo a confronto la forma dell'abside esterna con quella interna intuì e poi scoprì la presenza  non solo di una bensì di due cappelle nascoste, entrambe affrescate:  la cappella della Santa Croce (accesso dalla sacrestia) e la cappella di San Lorenzo (accesso da una piccola porta nel coro ligneo).

Siete curiosi di sapere dove si trova la natività? Beh! Fabriano è una  città troppo bella (clicca qui), è un peccato togliervi il piacere di scoprirla da soli.

Buon Natale amici del Web.

06 settembre 2018

2001 Odissea nello spazio

Copertina anteriore

Ho ritrovato il quaderno di geografia del 1968, l'unico delle scuole superiori sopravvissuto agli impietosi riordini della cantina, con le foto in copertina di "2001 Odissea nello spazio" uscito in Italia nell'inverno di quell'anno, giusto cinquanta anni fa.

Io  ero uno sbarbatello appena sedicenne tormentato da incertezze di ogni tipo, da domande senza risposte, da risposte di tutti i tipi spesso contraddittorie per la stessa domanda e , in prospettiva, un futuro  nebuloso così lontano che immaginavo irraggiungibile. 

Dopo aver visto il film compresi che anche Stanley Kubrick, il regista  allora quarantenne, di dubbi e di domande senza risposte certe ne aveva anche lui da sbrogliare, e quante! Lo sentii non tanto dissimile da  me e perciò adottai da subito sia  Stanley che  il film in toto, soprattutto il monolite (che di questioni ne sollevava a vagonate), la  tibia scaraventata in cielo, il "2001" (una data fantascientifica che avrei visto), il viaggio interminabile (come il mio) nello spazio, il valzer, Hall il computer con la fissa di sostituirsi all'Uomo, i cibi spaziali,  il viaggio finale nel tempo e la (ri)nascita di qualcuno (uomo, angelo, dio? ci sto  ancora ragionando su). Quando pochi giorni dopo vidi il quaderno con le foto di scena del film ne scelsi tutta la serie; ricordo la sensazione di aver trovato un confidente che avrebbe continuato ad accompagnarmi  anche tra "le sudate carte". In effetti nei momenti di stanca tra i banchi, l'Odissea nello spazio divenne  un viaggio anche dentro di me e nel mio futuro: nel '68 tante cose nuove bollivano in pentola e il mondo mi stava aspettando.

Quando il sospirato 2001 si fece vivo davvero,  ero da tutt'altra parte e non mi accorsi del suo arrivo (sigh!).

seconda pagina

Terza pagina: tra la fantascienza anche le medaglie di Mexico 68

Copertina posteriore


27 giugno 2018

I Ginocchielli di Poggio San Vicino e San Romualdo

È impossibile parlare dei Ginocchielli di Poggio San Vicino senza descrivere il paesaggio e senza raccontare la storia di San Romualdo. La traccia bianca del sentiero che s'intravede nella foto prosegue sul ripido crinale, attraversa a mezza costa il fianco boscoso del rilievo, sbuca in alto su una piccola sella e poi scende nell'altro versante, nella Val di Castro. È un luogo bellissimo pressoché intatto e sconosciuto del preappennino marchigiano tra le province di Ancona e Macerata. Quel sentiero intreccia la storia e la religiosità di queste zone da più di mille anni, da quando San Romualdo, il monaco "globetrotter" fondatore dell'ordine dei Camaldolesi, si stabilì qui poco dopo  il Mille prima in un eremo e poi nell'Abbazia di Val di Castro. Quel sentiero era l'unica via di collegamento tra l'Abbazia e Poggio San Vicino sia per i monaci in cammino per l'Europa che per gli abitanti della zone limitrofe diretti, al contrario, verso l'Abbazia. Ed è in questo contesto che una leggenda iniziò a circolare tra questi monti: raccontava di un cavallo o una coppia di giovenchi condotti da San Romualdo che s'inginocchiarono lasciando miracolosamente le impronte dei ginocchi in una pietra, evento che il santo interpretò come segni divini ricevuti per far costruire l'Abbazia nelle vicinanze. In seguito, quei segni furono identificati in una lastra calcarea dove il sentiero s'impenna all'inizio del crinale e ai Ginocchielli (è così che furono chiamate le impronte) si attribuirono facoltà taumaturgiche capaci di guarire il dolore ai ginocchi, alle gambe, alla schiena... Nei secoli, durante la processione che si snodava da Poggio San Vicino fino all'Abbazia di Val di Castro il giorno della festa di S.Romualdo, il 19 giugno, la sosta ai Ginocchielli per una preghiera o per una intercessione divenne una tappa sentita e obbligata.


Poggio San Vicino: i Ginocchielli

Negli anni questa tradizione scomparve ma il 19 giugno del 2012 la comunità di Poggio San Vicino la ripropose limitando però il percorso fino ai Ginocchielli. L'antica processione si è trasformata in una preghiera, in una passeggiata e una festa dove tanti mettono in comune il proprio tempo libero con il solo scopo di regalare un bel momento conviviale a tutta la comunità: un piccolo Poggio San Vicino fatto di grandi persone!


Poggio San Vicino: sentiero dei Ginocchielli, in alto il monte S.Vicino

Poggio San Vicino: bivio per i Ginocchielli

Poggio San Vicino: i Ginocchielli





Poggio San Vicino: di ritorno dai Ginocchielli


La festa continua fino al tramonto

...e un sorriso c'è per tutti!

04 maggio 2018

La gente da nulla a Sarnano


Succede a volte. Girovagavo su e giù nella Sarnano antica come avevo già fatto decine di volte, nell'ora in cui incontri solo gatti e piccioni. Ma quel giorno mi ero imbattuto nella poesia di Nino Pedretti e "la gente da nulla" la vedevo sbucare dappertutto:  tra i tetti i balconi le pareti le cornici e i giardini segreti delle case,  tra i campanili, gli archi, le scalinate ripide e i passaggi coperti, i lampioni e pure in un povero bagno (?) in cemento,  fissato, o meglio  incollato nella parete di una casa medievale. Non ero più solo mentre  scoprivo  una città nuova, ancora più bella di quella conosciuta.

ADESSO BASTA
La gente da nulla come noi
ha fatto strade,
ha fatto torri
ha fatto le mura delle città.

La gente da nulla come noi
ha toccato con le mani
tutto quello che vedi attorno a te
ogni puntino. 

Noi ci siamo accecati 
per fare le cerniere lampo 
ci siamo rovinati i polmoni 
nella polvere delle filande 
ci siamo bruciati nella calce 
ci siamo ammazzati: nei camion 
che andavano di notte 
nella nebbia e sotto la pioggia. 

Noi gente da nulla 
Abbiamo fatto il mondo 
E adesso basta.

Nino Pedretti





Sarnano








 Modifiche e aggiunte a partire dal XV secolo





Quasi una meridiana

Sassotetto sopra e fra i tetti

Il gatto sarnano


30 aprile 2018

Smeralda, la camiceria

Camerano, Camiceria Smeralda
Smeralda, che nella lingua semitica significa splendore, è uno dei miei "luoghi del cuore", da decenni. Lì, riesco a trovare le camicie in tranquillità, senza nessuno che mi aliti sul collo nell'acquisto a meno che non abbia bisogno di un consiglio, solo allora chiamo in soccorso l'esperta di turno. Scelgo il modello il colore la taglia vado alla cassa e, senza costi aggiuntivi, in pochi giorni accorciano le maniche, aggiungono il taschino (che oggi non è abbastanza trandy ma a me serve), tolgono le pence (se la pancia si ostina a non calare).

Con il tempo, se le maniche o il collo si consumano o se qualche asola cede a qualche bottone troppo ligio al dovere, ritorno e, sempre in pochi giorni, rimettono a nuovo la camicia. È come andare dal carrozziere, solo che nell'auto ci stai seduto, la camicia,  invece, ti sta addosso e ti segue per un giorno intero, morbida,  come una seconda pelle che traspira con il caldo o conserva il tepore se fa freddo. Non deve intralciarti nei movimenti ma li deve assecondare come se lei non esistesse, senza farsi mai sentire con cuciture in rilievo, fibre ruvide o sfregamenti inaspettati. 

Credo che occorra tanta esperienza e maestria e serietà professionale per arrivare a questo che è un lavoro da veri artigiani made in Italy, svolto qui alla luce del sole, senza dover   nascondere o nascondersi. Il laboratorio e il punto vendita, infatti, sono contigui, divisi soltanto da una vetrata trasparente che appena entri mette in scena l'ambiente di lavoro,  le montagne di stoffe, le macchine e, soprattutto, una  sessantina di donne  in piedi o sedute al proprio posto. Sessanta persone riunite in cooperativa,  sessanta famiglie, che in qualche modo dipendono da quanti si fidano di Smeralda e delle  mani  delle sue brave camiciaie. Alla faccia della globalizzazione, tiè!

Buon  1° Maggio, Smeralde!


La Camiceria Smeralda (qui) si trova a Camerano (AN) a pochi chilometri dalle bellezze del Monte Conero e delle sue spiagge (qui).

17 aprile 2018

L'abbazia di San Vincenzo al Furlo e il Chiosco al Furlo

Sì, avete letto bene, il Chiosco (non chiostro) al Furlo. Infatti, a metà strada tra la Gola del Furlo e Acqualagna (leggi tartufo) solo pochi metri separano  l'Abbazia di San Vincenzo al Furlo dal Chioscal Furlo. Vi garantisco, dopo essere stati in entrambi sarà difficile separarli nel ricordo.

Acqualagna, l'Abbazia di San Vincenzo al Furlo e il Chiosco al Furlo  
L'Abbazia, costruita intorno al X secolo, all'esterno non è molto dissimile da una casa tirata su con la pietra di calcare bianco tipica di questa zona. D'estate, appena lasci gli accecanti raggi di sole alle spalle per entrarci, la penombra sembra...abbagliarti. Fai fatica a seguire la  rarefatta luce, filtrata dalle poche finestre, tra la navata, la cripta e il presbiterio rialzato. L'interno è massiccio, severo anche tra  le grandi pietre d'epoca romana incastrate a formare l'irregolare pavimento. I pochi affreschi di scuola marchigiana, sopravvissuti alle trasformazioni e demolizioni imponenti avvenute nei secoli, sono i testimoni di un passato ben più colorato sulle pareti. Urcaperchénoncisiamovenutiprimaqui! Lo vorresti gridare tutto d'un fiato per goderti appieno la sorpresa prima che questa possa cedere il passo ad altre sensazioni.

Acqualagna, Abbazia San Vincenzo al Furlo

Acqualagna, Abbazia San Vincenzo al Furlo

Acqualagna, Abbazia San Vincenzo al Furlo: la cripta
Il Chiosco del Furlo, invece,  è immerso in un grande parco per metà ombreggiato da aceri e gelsi, e per l'altra metà curato a prato.  In una delle due piccole costruzioni c'è l'attività di ristorazione, nell'altra, in pietra bianca come l'abbazia, la toilette con vista sul fiume Condigliano che scorre qualche metro sotto. Una timida ma tenace corrente d'aria , smossa dal  fiume, garantisce una inaspettata frescura tra i tavoli anche nelle giornate di solleone. La specialità del Chiosco è una lista immensa di cresce (piadine) preparate, secondo la tradizione, con gli ingredienti tipici dell'alto pesarese e riconoscibili tra i profumi sfuggiti dalla cucina  per fare un giro di valzer tra tutti noi  prima di dileguarsi da questa specie di eden. Ma il condimento migliore lo trovi nell'accoglienza, nella simpatia e, soprattutto, nel sorriso dei proprietari, Cesare Martelloni &Co,  che se non sei vaccinato rischi di diventare portatore sano di sorrisi per molto tempo, anche dopo avere fatto ritorno a casa.

Acqualagna, il Chiosco al Furlo 

Acqualagna, il Chiosco al Furlo

Acqualagna, il Chiosco al Furlo
Qual è il ponte, l'anello di congiunzione tra le due aree? È la porta della chiesa costantemente spalancata. Sembra incredibile come questa possa fare da magnete, da stargate capace  di scaraventarti in ogni istante nella dimensione del tempo fermo (la chiesa) o in quello dell'oggi (il chiosco). Quando sei nella chiesa,  la luce, i suoni, l'aria tiepida e il profumo di crescia che filtrano dalla porta d'ingresso sono un costante richiamo verso l'esterno. Al contrario, quando sei a spasso tra il verde o seduto tra la gente a mangiare, quell'esile rettangolo scuro sulla facciata della chiesa sembra invitare proprio te  ad entrare, anche se ci sei già stato pochi attimi prima.  Credetemi, è difficile non cedere a quella lusinga.

Acqualagna, l'Abbazia di San Vincenzo al Furlo e il Chiosco al Furlo
Conosco l'Abbazia e il Chiosco grazie a un post scritto dalla mia amica Bruna (storica spacciatrice di buoni luoghi) in cui racconta nel suo blog "Poco lontano" anche la Gola del Furlo, eccolo:

:https://pocolontano.myblog.it/2013/02/25/andiamo-al-furlo/


Gli altri "Panino a tavolino":



09 aprile 2018

Poggio San Vicino: tra canzoni e vibrazioni



Dalla torre medievale di Poggio San Vicino
Una leggenda racconta che un semplice battito d'ali di una farfalla potrebbe generare uno spostamento di molecole d'aria capace di provocare un uragano a migliaia chilometri di distanza; cosa potevamo provocare noi della corale Brunella Maggiori mentre cantavamo in cima alla torre medievale di Poggio San Vicino, un cataclisma?

Mi piace immaginare qualche impercettibile vibrazione dell'aria raggiungere i casolari sparsi nella sottostante Valle di San Clemente, i paesi di Cupramontana e di Apiro (visibili in cima alle colline sovrastanti la Valle), e le pendici del Monte San Vicino. Boscosissimi pendii in cui  l'unico intervento visibile dell'uomo è quel sentiero che serpeggia e s'arrampica per poi scendere, al di là del crinale, nella Val di Castro dove S. Romualdo, fondatore dell'eremo di Camaldoli, si ritirò intorno all'anno Mille e dove costruì l'eremo poi diventato Abbazia di S.Salvatore.

Già,  Poggio San Vicino e quel sentiero hanno visto passare in mille anni  gran parte della storia degli "umili" , dei potenti e dei religiosi di queste terre a cavallo tra le attuali province di Ancona e Macerata. Sarà stata la stanchezza o le suggestioni di una giornata di sole primaverile, tramontata troppo presto, ma le "vibrazioni" di tutta quella gente in cammino sembravano essere ancora presenti tra noi, a distanza di secoli.

Il video è di Sara Simoncini, sindaca,  che ci ha fatto da guida preziosa e appassionata tra la storia e le bellezze del suo  Poggio San Vicino. Il sentiero è ben visibile negli ultimi venti secondi.

La canzone "Improvviso" è stata scritta da Bepi De Marzi



Ho già raccontato Poggio San Vicino qui:

03 aprile 2018

Apiro e Ca' di Chiocco sulla Via Lauretana

     Apiro, Ca' di Chiocco: pellegrinaggio della diocesi di Città di Castello verso Loreto             2/4/2018

Lungo la strada che da Apiro conduce a Valcarecce si snodava un serpentone quasi ininterrotto di ragazze e ragazzi a piedi che ho scoperto poi fermarsi nella chiesetta di Santo Stefano (o Montalvello) a Ca' di Chiocco, la piccolissima frazione di Apiro che ho già raccontato qui

Quella di ieri credo sia  stata la prima limpida e  tiepida giornata di primavera di quest'anno, ma lo sciame di pellegrini, stanchi affamati e assetati, cercava l'ombra, come api nell'alveare, ricoprendo di zaini strapieni e di maglie colorate gli spazi circostanti la chiesetta.  Provenivano tutti dalla diocesi di Città di Castello. Erano arrivati con i pullman ad Apiro e da qui iniziavano il percorso a piedi  verso Loreto. Nella prima tappa avrebbero pranzato e riposato  proprio qui a Ca' di Chiocco, per poi proseguire fino a Cingoli dove avrebbero dormito. 

Oggi le Vie  Francescane o Lauretane con destinazione, appunto, Loreto stanno rinascendo e la sofferenza fisica di un lungo viaggio a piedi è tornata ad essere un fatto abbastanza comune sia come atto di fede che per scoprire sé stessi e i luoghi difficilmente osservabili con mezzi diversi dalle scarpe. Non so perché, quindi, senta la necessità di raccontare su Tracce minime  questo episodio che di per sé non ha niente di speciale, almeno per chi osserva. Forse perché so che questo che per me è uno dei "luoghi del cuore", che conosco quindi anche intimamente, è affamato di futuro, di gente meravigliata per l'ambiente circostante, di voci allegre,  di passi sulla sua terra. Ieri tutto Ca' di Chiocco sorrideva.

Buona strada! giovani di Città di Castello.
Apiro, Ca' di Chiocco: chiesa di Santo Stefano 
Apiro, Ca' di Chiocco: chiesa di Santo Stefano 







Apiro, Ca' di Chiocco: bivio per la chiesa di S.Stefano e la Vallelunga



15 marzo 2018

Una tranquilla gelida notte nel centro storico di Jesi

Jesi, Piazza Federico II
Il burian aveva ricoperto e imbrattato di neve il centro storico e tutta la città. Alle 10 di sera il vento era già volato via insieme alla neve che non cadeva più. Le nubi si stavano lacerando, come una vecchia maglia di lana, e dagli strappi scendevano, insieme alla luce delle stelle, rovesci d'aria gelida che si sovrapponeva a quella esistente già fredda di suo. L'aria sembrava rarefatta, pulita e dal profumo intenso di neve, come quella dei mille  metri e più di montagna. Bastava una sola sniffata per sentire un'energia smisurata invadere prima i polmoni e poi tutto il corpo, la  mente e l'anima. Sniffavano anche le poche persone sconosciute che incontravo, giovani coppie perlopiù. Lo percepivo dai saluti e dai complici sorrisi scambiati tra noi come se fossimo stati amici di vecchia data. Avrei camminato tutta la notte su quella neve oramai diventata ghiaccio ma, anche se le suole vibram dei doposci tenevano,  cercare di non cadere "come corpo morto cade" richiedeva uno sforzo e un'attenzione sovrumani. 

Jesi, Piazza Colocci: Palazzo della Signoria (rinascimentale) e resti della città vecchia (medievale)
Di tanto in tanto, perciò, mi riparavo nell'ingresso di qualche negozio, chiuso ovviamente a quell'ora, illuminato o a giorno oppure solo in qualche scaffale interno  o nella vetrina, ma le cui luci indirette bucavano tutte le gradazioni del buio fino nelle zone più lontane e recondite del locale. Potevo scorgere ogni cosa anche in profondità quindi,  dagli scaffali alle merci esposte, simboli della nostra sovrabbondante quotidianità. Erano però gli spazi vuoti che mi attraevano perché esaltavano  le assenze: il da fare, la simpatia o l'antipatia dei venditori; il via vai,  i colori, il chiasso e le indecisioni dei clienti. Assenze ma anche presenze, simulate da qualche manichino o suscitate da un ombrello dimenticato o da qualche oggetto lasciato fuori posto (un paio di occhiali sul bancone, una bottiglia d'acqua minerale sullo scaffale) oppure dalle sedie rovesciate sui tavoli durante le pulizie di fine giornata... 




















A metà Corso Matteotti, quella che era diventata per me una specie di Spoon River aveva già piazzato qualche dose di inquietudine tra la mia curiosità iniziale, perciò ho preferito lasciare  i negozi al loro destino  per godermi quella splendida gelida notte continuando la passeggiata barcollante tra le vie del centro.

Piazza Pergolesi non l'avrei più vista come ora. I brutti pannelli di legno che la recintavano erano il segno dell'imminente trasformazione che avrebbe  fatto arretrare la statua, istallare un nuovo arredo urbano e sostituire i lugubri e spennati vecchi cipressi con altri tipi di piante. Sarebbe rinato un bello, razionale e ampio luogo socializzante per la città, vanto per  lo stesso Gian Battista Pergolesi, impreziosito dalla contiguità con la chiesa di San Nicolò, la più antica di Jesi.

Non potevo non immortalare per i posteri l'ultima notte  della  piazza sotto la neve "com'era prima del restauro".

Jesi, Piazza Pergolesi