24 giugno 2021

Il caffè nell'ascensore



"Desiderate qualcosa da bere?". Era un sabato mattina quando quella timida voce rimbalzò all'interno dell'ascensore come un boato creando un clima di sorpresa e di timore tra gli astanti. Soltanto una giovane donna disse di sì, forse intuendo un disagio se non una sofferenza dietro quella richiesta.

Subito dopo quel signore dall'età indefinita, vestito con jeans e polo bianca, mosse velocemente le braccia come se stesse davvero azionando una macchina da caffè espresso, poi sorrise e allungando la mano destra verso di lei disse "stia attenta ché la tazza è bollente ma senta che profumo… offro io". Il ghiaccio all’interno della cabina si sciolse all’improvviso e un gruppo di tre ragazzi prima ancora di uscire dalla porta che nel frattempo si apriva prenotarono il caffè invisibile per il ritorno.

Ogni mercoledì e sabato, che poi erano i giorni in cui si svolgeva il mercato settimanale, il barista era il primo passeggero dell'ascensore e ci restava fino alle 13 in punto. La notizia di ciò che stava accadendo si propagò e giorno dopo giorno sempre più persone utilizzarono quel mezzo solo per chiedere un caffè, anzi caffè di tutti i tipi, addirittura da asporto per i ritardatari al lavoro. E man mano che le richieste aumentavano, il barista era costretto a muovere sempre più velocemente le braccia e le mani nei pochi secondi nei quali l'ascensore scendeva nel parcheggio sotterraneo oppure saliva al piano terra o nella parte più alta dell'edificio, lo storico Mercato delle Erbe in pieno centro.

La cabina divenne un luogo di ritrovo per la città. Era facile incontrare chi portava un quotidiano da leggere, chi delle sedie pieghevoli per stare comodi, e chi voleva pareri su una propria canzone o poesia o dipinto. Si discuteva di tutto, anche di spostamenti di fontane e di obelischi . Si cantava pure. Soltanto il barista non parlava mai: sorrideva con gli occhi e salutava con un mezzo inchino, ma quando i suoi occhi incrociavano quelli di un anziano contadino in molti giurarono di aver visto il suo sguardo accendersi come se i due stessero parlando in silenzio. Nella cabina, a volte gli argomenti erano così coinvolgenti che all’apertura delle porte nessuno tra gli occupanti sarebbe uscito se non fosse stato strattonato e tirato fuori da chi aspettava di entrare.

Ma le persone in attesa diventavano sempre più numerose e per entrare nell'ascensore passavano anche delle ore. Bastava un niente per far esplodere liti anche violente. Per ristabilire la normalità e la sicurezza il sindaco dovette bloccare il servizio. Nell'arco di pochi giorni scomparirono sia i curiosi che gli affezionati del caffè. Il barista non si fece più vedere e l'ascensore poté quindi ripartire con il solito tran tran.

Non si seppe mai con certezza chi fosse il barista anche se una voce circolata tra i banchi del mercato contadino mormorava che fosse il gestore del vecchio chiosco demolito anni prima per far posto proprio all’ascensore. Chiosco bar le cui due pareti bianche e la tazzina dipinta sopra l'allora esistente macchina da caffè esistono ancora anche se nascosti in parte dall'ascensore.

Ma il fatto che fa ancora discutere, tra l'incredulità generale, è che tutte le persone che accettarono quelle tazzine fumanti ricordano i profumi e i sapori di quei caffe come i più buoni mai sentiti prima. 

Quinto, il veterano delle Mercato delle Erbe di Jesi


Jesi, Mercato delle Erbe